La perlina del Mangart

31 agosto 2018

Ancora solo un giorno di ferie e ancora due ardite missioni da compiere: perlinatura di una parete di casa a Tarvisio e prima conquista ciclo/alpinistica del Mangart.

Dopo settimane di meticolosa preparazione di entrambe le attività (tutorial di bricolage su youtube e traccia gps dei “MIB sul Mangart”), alle nove di sera di giovedì Bussola decide di ignorare le previsioni meteo poco favorevoli alle attività outdoor e dà inizio alla sua duplice sfida.
La preparazione del bagaglio è complessa: trapano, k-way, seghetto alternativo, guanti, bolla, pedule, pick-up al cioccolato, colla millechiodi… tutto in un borsone unico… pronti, attenti, via! Ed a mezzanotte Bussola è a casa a Tarvisio, e pimpante comincia la sua lotta con le perline. Secondo i piani e secondo il signor fai-da-te di youtube, l’operazione doveva concludersi in un paio d’ore: alle 3.10 del mattino, lo stato dell’arte è il seguente.

Sopraffatto dalla stanchezza e dalla sua incapacità, Bussola decide che la sfida con la perlina deve essere sospesa, per lasciare qualche speranza alla sfida del giorno seguente (anzi, di qualche ora seguente…) col Mangart.
Ore 7.40: Bussola si sveglia, con la vile e peccaminosa speranza di pioggia battente che giustifichi l’annullamento del Mangart a favore della prosecuzione della perlinatura. E invece no: dalla finestra si vede solo nebbiolina e nuvoloni bassi…

…che fare??
La tentazione della resa è fortissima, ma si sa che il rimorso è meglio del rimpianto: colazione ricca (di biscotti), zaino tattico (sempre quel) con dentro le pedule da montagna, abbigliamento tattico (sempre quel) e alle 8.40 Bussola è in sella: che la missione verso il Mangart (2.679 m) cominci, dai 750 m di altitudine di Tarvisio!
La prima tappa prevede l’arrivo al lago di Cave del Predil (970 m): una dozzina di chilometri pacifici, con una gamba sorprendentemente non troppo intorpidita, con pochissime auto e con una strada che nemmeno Bussola può sbagliare… dopo circa 45 minuti il lago è raggiunto e la prima “foto panoramica” è scattata, con nuvoloni sempre più scuri e minacciosi all’orizzonte.

Seconda tappa: pochi chilometri per scollinare l’ameno Passo del Predil (1.156 m) e arrivare velocemente alla partenza della temutissima terza tappa, il salitone verso il rifugio Mangart (quota 1.906 m)!

Bussola affronta con sicurezza e convinzione la temuta salita

Inerpicandosi sugli 11 km di stretta stradina bitumata, le futili preoccupazioni (le perline da finire, la pioggia che sta per arrivare, l’ufficio che lunedì ricomincia) vengono via via zittite dalla silenziosa bellezza del luogo (poco vista dagli occhi, ma molto percepita dall’immaginazione). E’ l’estasi del ciclista: natura e sudore, vuoto cosmico in testa. Un gregge di pecore è l’unico e piacevole incontro sulla strada, ormai avvolta nella nebbia.

L’arrivo al rifugio, vuoi per la nebbia che lo ha celato fino all’ultimo e vuoi per la gamba ancora buona, sopraggiunge quasi prematuro ed inaspettato. Sono circa le 11 e mezza, il momento perfetto per un cappuccino ed una squisita fetta di strudel.

Il meteo peggiora, nuvole e nebbia aumentano ancora…e di nuovo il dubbio…che fare? Tornare al sicuro della perlina casalinga oppure osare ancora e sfidare il meteo e la vetta? Il simpatico gestore sloveno mi mette in guardia: “Attento che rocce sono umide, si scivola…ma tu sei forte?”. Difronte all’ultima domanda, lo stupido ego di Bussola si gonfia e la decisione è immediatamente presa: le pedule vengono calzate, la borraccia d’acqua viene dimenticata sulla bici (!!), e a mezzogiorno parte la quarta tappa, l’attacco ai quasi 2,700m della maestosa cima del Mangart, che la nebbia continua a ben celare.
La prima parte della salita è “scorrevole”, fin qua tutto bene. Al bivio tra la via italiana e quella slovena, forte di una precedente soffiata di Icefoot, Bussola non sbaglia: si va a sinistra, sulla via “normale”. Aveva ragione il gestore, le rocce sono scivolose come saponette: in spregio a tutti le buone regole dell’arrampicata, Bussola si aggrappa di peso a tutti i cavi del percorso attrezzato, salendo più di braccia che di gambe.

E compare anche la prima neve della stagione, che Bussola in onore del Cinci non esita ad assaggiare ed immortalare…

E finalmente la parte attrezzata finisce… buon segno, in teoria. In pratica, senza più funi a fare da “segnapista” e con una visibilità ulteriormente peggiorata (si vede a stento a dieci metri), il Bussola sprofonda all’improvviso nella sua debolezza (e quindi nella sua paura) più grande, il suo (dis)orientamento…
Senza MIB ad attenderlo ad ogni bivio, con una traccia sul telefono sempre più distante da ciò che lo circonda, la salita diventa una continua e disperata ricerca di bollini bianco-rossi e di omini di pietre…e di nuovo il dubbio: meglio rientrare o, a questo punto, fare l’ultimo sforzo? Nella nebbia compaiono due figure umane che stanno scendendo: secondo loro, mancano 10-15 minuti alla vetta. E allora anche questa decisione è presa: si va avanti!
Ogni bollino intercettato (ce ne sono davvero tantissimi, ogni venti metri…se solo si vedessero…) è una liberazione dallo stato d’ansia ormai totale: e se mi perdo??
E difatti mi perdo: manco una curva della traccia giusta e proseguo tra le rocce scivolose in contro-pendenza. Non vedo praticamente niente. Vado avanti alla ricerca del prossimo bollino o torno indietro dall’ultimo bollino che ho visto per ricontrollare? Torno indietro: per culo ritrovo l’ultimo bollino, ma non vedo alternative al percorso che avevo appena fatto. Cacchio, allora era giusto dove stavo andando, devo solo andare un po’ oltre e troverò un altro bollino. Dai Paolo, vai e trova sto cazzo di bollino. Vado avanti, supero il punto in cui ero tornato indietro, il fondo è sempre più accidentato e pendente, cazzo davanti a me una specie di canalone pieno di pietre… dall’altra parte mi pare di vedere un segno rossiccio su una pietra… sarà un bollino? Sarà da attraversare sto canalone? Possibile che in un punto così impestato non ci sia una fune? Provo a vedere sul telefono: cacchio, per la prima volta c’è zero campo, e quindi non vedo la mia posizione gps sulla mappa che non avevo scaricato… Fanculo, dev’essere di là, ci provo: cuore in gola e gambe tremanti, sono oltre al canalone, ma di bollini non c’è traccia, e sono in un punto di merda, in pendenza, instabile ed esposto.

Monta irrefrenabile il panico, quello vero. La paura animale di morire. Mi aumentano i battiti, mi gira la testa, mi viene da vomitare. Mi aggrappo ad una roccia. Penso: “Cazzo, che coglione. Calmo Paolo, porca puttana, calmo Paolo. Non puoi farti fottere dalla paura. Fermati, conta fino a 100, respira e ragiona”. Aspettare, devo aspettare di vedere qualcosa o che succeda qualcosa. Uno, due, tre, quattro…

E ho fortuna: arriva qualche raffica di vento e dopo qualche minuto il nuvolone che avevo attorno per un attimo si solleva. Mi guardo in giro e sono sicuro che ho sbagliato, devo tornare indietro all’ultimo bollino. E devo farlo adesso, che qualcosa si vede. In qualche modo mi stacco dalla roccia, più che camminare striscio a quattro zampe. Ri-attraverso il canalone: ora che lo vedo meglio, fa ancora più impressione. Trovo l’ultimo bollino, mi riguardo attorno: e finalmente vedo il bollino successivo, quello che avevo mancato: bastardo, nascosto e sbiadito, sì e no a 10 metri di distanza…
Un misto di adrenalina e di rabbia mi dà nuova forza, seguo il bollino bastardo, vedo quello successivo, e quello dopo ancora… vedo la croce, sono in cima, ancora spaventato dalla mia stessa paura. Credo che l’espressione dica abbastanza…

Mangio il mio pick-up, mangio il mio blocchetto di formaggio grana, immagino di bere l’acqua che ho lasciato in rifugio: adesso devo solo scendere abbastanza velocemente per cercare di riconoscere la via seguita per la salita e abbastanza lentamente per non scivolare e farmi male.

Per fortuna la visibilità è migliorata, e così in discesa ritrovo progressivamente tranquillità e sicurezza. Circa alle tre del pomeriggio, sono di nuovo al sicuro del rifugio lasciato circa tre ore prima. Il gestore mi dice: “Cavolo, poco più di tre ore con questo tempo, ma allora sei forte davvero!”.

Sorrido e penso a quanto forte mi sentivo un’ora prima, aggrappato ad una roccia col mondo che mi girava intorno… la mia risposta è: “Hai una radler?”. Il desiderio è accontentato, assieme ad una palacinca col formaggio da goduria.

Sono di nuovo Bussola. E allora ecco che Bussola si rimette in assetto ciclistico, e si tuffa giù in discesa verso casa, con il vento in faccia ad anestetizzare tutti i pensieri.
Casa, doccia, caffè… chiusa la pratica Mangart, rimane quella della perlina. Altre due ore di lavoro, e anche questa impresa può considerarsi (quasi) conclusa!

PS: ho scritto questo resoconto-confessione non per farne un vanto (so bene che quello che ho fatto è una solenne cazzata da bambino scemo, immaturo, alla continua ricerca di dimostrare non si sa che cosa a non si sa chi), ma nella speranza che mi (e vi) serva da ricordo e monito per il futuro. E’ sempre giusto provare e osare, ma bisogna anche saper fermarsi e a volte tornare indietro.


5 commenti

  1. L‘ importante è che ti serva di lezione, ho rinunciato più di qualche volta per poche decina di metri a qualche vetta, ma non mi sono mai sentito sconfitto anzi uno stimolo per riprovare.

  2. Bravo Bussola, con quel tempo li non mi sarebbe neanche passato per la mente di salire. Complimenti per il lavoro delle perline.

  3. Concordo con Sparghel meglio rinunciare per poter ritentare che far c….. e è forse pentirmene. Comunque spero ti rimanga a memoria per il futuro 👹

  4. Ricordo bene che qualche anno fa io rinunciai e il Prof con me (solo per solidarietà), mentre quel bambinone di Cinci andò avanti sino in cima. Ma non so perché avrei fatto a cambio…
    Grande Bussola.
    E a proposito: bitumaro!

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